Gli insuperabili ep.12

Alex Zanardi

Un podcast prodotto dal consorzio Parsifal

Gli insuperabili ep.12 - Storia di Alex Zanardi

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In uno dei rari momenti di lucidità della mia adolescenza andai da mio padre e lo ringraziai per tutto quello che i miei stavano facendo per me. Sapevo che non navigavano nell’oro, anzi, e che la mia passione era costosa eppure erano sempre lì, pronti a tendermi una mano, a incoraggiarmi, a sostenermi in ogni singola curva.

Mi padre mi prese la mano e rispose, “vedi Alex, qualche anno fa, rientrando a casa sul tardi, ho visto la luce accesa in garage. Così sono entrato per dirti di andare a letto e ti ho trovato addormentato nel cart. Vedendoti così, in quel momento ho capito che la tua non era solo una passione, ma qualcosa molto più grande. Ho capito che correre è il modo che hai per stare al mondo.”

Gli insuperabili episodio 12 – Storia di Alex Zanardi

Se cercate su youtube “the pass”  il primo risultato è ancora quello che Alex fece ai danni di Bryan Herta a Laguna Seca in California nel 1996. Non serve essere esperti o appassionati di automobilismo per apprezzarlo. E’ l’ultimo giro e tra le due curve chiamate “il cavatappi”, Zanardi  si avventura in un sorpasso tanto impossibile quanto storico, trova uno spazio inesistente, lancia la sua vettura oltre quella dell’avversario e conquista il primo gradino del podio. 

Alex è così, un fuoriclasse già da bambino sui cart e poi da professionista, sia in Formula 3000 che in formula 1. Anche se nella categoria più prestigiosa la fortuna non ha giocato certo a suo favore. Dopo un anno senza contratto infatti è l’indycar a prospettargli una nuova vita così vola negli states e rapidamente diventa il primo italiano ad aggiudicarsi due campionati consecutivi di FormulaCART. 

 

I trionfi oltre oceano risuscitano l’interesse della Formula1 che l’aveva abbandonato e Alex, accostato per un breve periodo anche alla scuderia Ferrari, firma un contratto triennale con la Williams ma l’accordo viene sciolto consensualmente solamente l’anno successivo. 

 

Così torna di nuovo in America, a stare lontano dal rombo dei motori proprio non ci riesce. Torna sperando di tornare a vincere e, ovviamente, ignorando che in realtà stava andando incontro l’episodio che gli avrebbe stravolto la vita. 

 

E’ il 15 settembre del 2001 e si corre in Germania. Gli organizzatori non vogliono annullare la corsa, preferiscono farla partire e chiamarla American Memorial, come se a 4 giorni di distanza, viva come non mai, ci fosse davvero bisogno di ricordare la più grande strage del venutunesimo secolo. 

Le prove non si fanno a causa del maltempo ma la corsa inizia regolarmente il giorno successivo. Alex parte dal fondo e dà vita a una rimonta clamorosa che, sorpasso dopo sorpasso, lo porta alla testa della gara. A 13 giri dalla fine viene richiamato per errore noi box per un pit-stop che non sarebbe stato necessario. Al meccanico addetto al rifornimento scappa la pompa tra le mani che schizza inavvertitamente sulla visiera di Alex il quale, intanto, riparte. Sta per rientrare in pista e con la mano sinistra prova a pulirsi il casco ma, inaspettatamente, perde il controllo dell’auto che slitta vertiginosamente, prima sulla ghiaia poi in pista. Piroettando si ritrova esattamente al centro del rettilineo dove le auto sfrecciano a oltre 350 km orari. Al centro della carreggiata, la prima vettura riesce a schivarlo. La seconda, quella guidata dall’italo canadese Tagliani, no. E’ un impatto terrificante, le automobili si scontrano in modo esattamente perpendicolare. La macchina di Zanardi viene troncata a metà, al pilota, ahimè, capita la stessa sorte. Le sue gambe restano nella parte anteriore dell’auto mentre il busto, privo di sensi, è nell’abitacolo.

Servono 6 settimane di ricovero, 15 operazioni, 7 arresti cardiaci e quattro giorni di coma farmacologico perché Alex riprenda coscienza. I medici non nascondevano che le possibilità di sopravvivere erano davvero prossime allo zero. 

 

“ Quando ho aperto gli occhi mi sono concentrato sulla metà di me che era restata, non su quella che non c’era più.”

 

Con questa frase inizia davvero la nuova vita di Zanna che si riappare per la prima volta pubblicamente per la consegna del premio “Casco d’oro”. A consegnarglielo è un certo Micheal Schumacher e lui, che viene lettaralmente sommerso dagli applausi della platea, si alza non senza fatica dalla carrozzina, prende il microfono e ringrazia. Poi aggiunge: sono così emozionato che mi tremano le gambe.

 

Non si prende sul serio alex ma è l’unico a non farlo, da quel momento qualsiasi cosa dica diventa un mantra, una massima al pari di quella dei grandi guru o dei profeti indiano. A lui non interessa, è genuinamente e spudoratamente ottimista. Con il sorriso sincero nel cuore e la gratitudine di chi la morte l’ha vista davvero negli occhi torna in pista per vincere ancora. Prima di dedicarsi all’handbike, la bici che si spinge con le braccia, però deve fare una cosa. Torna in Germania, lì nel circuito che ha spaccato la sua esistenza, sale su un’auto appositamente modificata e conclude quei maledetti 13 giri che aveva lasciato in sospeso poco più di un anno prima. Ora è pronto a ripartire.

Torna così ad allenarsi, lo fa con metodo, alternando alle sedute di training numerosi interventi nelle più disparate realtà di tutto il mondo. Diventa, senza volerlo, un simbolo della rinascita, una dimostrazione diventa di quello che il cuore e i muscoli possono anche oltre le difficoltà.

 

Partecipa alle maratone di New York e Roma, collezionando piazzamenti, medaglie e record. Vince i mondiali e conclude addirittura l’ironman. No, dico, l’ironman, 3,8 km di nuoto, 180 di bicicletta e 42 di corsa. Partecipa a quello più prestigioso al mondo, nelle Hawaii, e taglia il traguardo in meno di 10 ore classificandosi 1° nella sua categoria e 273° tra i 2180 partecipanti globali. Nel 2019, a 53 anni, durante la competizione di Cervia perfezionerà il suo personalissimo record concludendo la competizione con un tempo di 8 ore 25 minuti. E’ testa, cuore e fisico. Lui lo dice e lo ripetono anche le immagini che girano su internet con il suo volto vicino: alla base di tutto c’è la filosofia dei 5 secondi, è Alex ad averla inventata. “Quando pensi di aver dato tutto, quando non ne hai più, chiudi gli occhi e continua a spingere, fallo per 5 secondi. Può capitare che aprendo lo sguardo, il tuo avversario abbia mollato e tu ti ritrovi con le energie rinnovate in prima posizione a pochi metri dal traguardo.”

 

Alex ormai è una star, quando va in america per delle corse e delle campagne promozionali l’accoglienza è da re, viene invitato al David Letterman Show per rendere l’idea.

La parola normalità però nel vocabolario di Alex non esiste così mentre conduce programmi in tv e incontra ragazzi nelle scuole e nelle università, sa che gli manca qualcosa, sa che c’è ancora qualcosa che vuole raggiungere. No, non è per l’oro, la fama, la stima delle persone o il prestigio. Queste sono cose che già ha. C’è un limite e lui questo non lo tollera anzi, potremmo quasi dire che proprio per i limiti prova una sorta di allergia, e quella barriera si chiama Olimpiadi. 

 

Si iscrive così a quelle di Londra, con la nazionale italiana paralimpica e trionfa, conquista trionfalmente due ori e un argento. La foto celebre con lui che solleva la sua handbike con una sola mano viene da lì. Ma se state pensando che ora sia appagato vi state sbagliando. Ci ha preso gusto e vuole provarci ancora, 4 anni dopo, con 4 anni in più sulle spalle, a un età in cui – come dice lui – i lustri diventano come quelli dei cani, ne passa uno ma vale per sette. Si presenta così anche a Rio nel 2016 e tutti pensano che sia difficile se non impossibile. Ha quasi 50 anni ed è circondato da un’incredibile stima per quello che è stato e per quello che ha rappresentato si presenta in griglia e per un’ennesima volta conferma di essere il migliore. Vince e stravince la cronometro, si posiziona secondo nella gara in linea e poi vince la staffetta. Credo sia quella la gara più emozionante, l’azzurro a tagliare il traguardo alla fine è proprio lui. Gli ultimi 100 metri li percorre su due ruote e indicando con il dito la scritta italia sulla sua pettorina. Poi, tra gli applausi frena, si solleva dall’hand bike e si getta sui suoi compagni di squadra, abbandonandosi a un abbraccio liberatore e a lunghe lacrime di gioia. Le stesse lacrime che lo accompagnano sul podio quando deve ricevere la medaglia mentre l’inno di mameli ripete “siamo pronti alla morte.” Alex, bandiera e orgoglio di una nazione, quel giorno dimostra ancora una volta al mondo quanto oltre si possa andare.

Lo scorso giugno, durante una gara di beneficienza, una lunga staffetta che avrebbe toccato praticamente tutta l’Italia colpita dal Covid, Alex perde il controllo della sua handbike e finisce contro un camion che arriva nel senso di marcia opposto. L’incidente è gravissimo, le sue condizioni appaiono da subito critiche così arriva l’elisoccorso, poi un’altra corsa in ospedale. 

E mentre in tv si discute sulla responsabilità e le dinamiche dell’accaduto, tutta italia è incollata agli schermi con la speranza di ascoltare quelle parole: “si è svegliato, è fuori pericolo.” 

Parole che non arrivano e mentre il tempo, 5 secondi per volta, scorre sempre più velocemente, riempito – così come i palinstesti delle tv – dalla seconda ondata di pandemia, le notizie su Alex si diluiscono e diventano sempre più sporadiche. 

 

Il 29 luglio la nazionale degli atleti paralimpici pubblica un video in cui decine di sportivi intonano la sua canzone preferita che ovviamente è “Don’t stop me now.” Una traccia che ha accompagnato ogni suo respiro. Poi il silenzio. 

 

Dall’ospedale San Raffaele di Milano arrivano poche informazioni, si parla di stabilità e di graduali miglioramenti fino a quando arriva la comunicazione ufficiale. “Alex è sveglio, interagisce con il mondo esterno, è cosciente”. A dirlo alle telecamere è il figlio, Niccolò che poi aggiunge “nessuno sa dirci cosa potrà tornare a fare.”

 

Quello che sappiamo è che ora Alex è ricoverato all’ospedale di Vicenza, in una stanza singola custodita da un gruppo di specialisti e dall’affetto dei suoi cari.

Alex, la scalata è ancora lunga, lo sappiamo. Siamo ai piedi della montagna, ma le salite non ti fanno paura. Cuore e muscoli ce li hai. 

Noi siamo qui e lì con te, con una promessa. Aspetteremo ancora, anche 5 secondi per volta se serve, con gli occhi chiusi e la speranza di riaprirli, girarci e vederti dietro di noi, a tutta velocità, diretto veloce verso una nuova, incredibile sfida.

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