
Basta Gomorra: l’Albero delle Storie racconta un’altra Scampia
Davide Cerullo, dalla camorra alla ludoteca l’Albero delle Storie: “Qui i bambini possono essere bambini. Scampia ha bisogno di normalità”.
Manuel è corto, ma corto sul serio.
22 anni in un metro e sessanta di romanità tatuata sottopelle e nell’accento. Un orecchino d’oro, un bracciale al polso, una camminata con le gambe divaricate e il petto leggermente all’indietro.
Vive alla giornata, forse sempre col cappuccio della felpa a coprire il cappello da sole, così come quando l’ho incontrato. Documenta la sua vita su Facebook, raccontando quasi senza accorgersene uno spaccato di periferia capitolina fatta dal lungomare di Ostia e dagli amici di brigata. Con cadenza regolare però posta foto dei due amori che conserva dentro ma troppo grandi per non essere urlati: la Magica e l’unico set cinematografico su cui abbia lavorato.
In fin dei conti, se nasci ad Ostia non hai molta scelta sulla squadra per cui tifare, quelle sono cose che sceglie il destino per te. Il caso però appare comunque, anche sulle strade della periferia romana, sotto forme strane, a volte incomprensibili. Rispondendo a nomi diversi e disvelandosi nei luoghi meno immaginabili.
A Manuel si mostra su whatsapp, con un messaggio di un amico in un pomeriggio d’estate: “danno 50 euro per un provino da comparsa, appuntamento tra mezz’ora al baretto”.
Manuel non ci pensa su, indossa la prima t-shirt che gli capita tra i panni gettati sulla sedia e si precipita sul luogo, sperando si tratti di una cosa rapida e indolore: mezza piotta gli fa comodo. Quel giorno, lui non sa, gli cambierà la vita.
Al caso poi, come spesso accade, si aggiunge la fortuna. Dopo due ore di attesa e qualche birra, Manuel che stava per andarsene scocciato da quella che sembrava un’ennesima presa in giro, girandosi sbatte contro un uomo anziano, vestito di nero nonostante l’estate e con un cappello, diverso dal suo, a coprire il capo. Era più alto e alzando lo sguardo scorge un viso a cui non riesce a dare un nome ma di cui suo Zio, con il quale andava al cinema da piccolo, gli aveva parlato mille volte. Aveva più barba rispetto al passato e un aspetto che trasudava contemporaneamente determinazione e l’avanzare di un male incurabile.
Era il Maestro di Ostia, il regista del film. Era Claudio Caligari.
Manuel lo capì perché, non appena gli altri si accorsero della sua presenza, nella sala del bar scese un silenzio rispettoso. A romperlo fu Emanuel Bevilacqua: “forza, metteteve ‘n fila p’aa foto.” Manuel obbedì. Il silenzio, il rispetto, quelle figure imponenti e quella “figuraccia” da coatto che aveva appena fatto avevano affievolito un po’ il suo ardore.
Click. Click. Una frontale e una di tre quarti, poi il numero di cellulare su una tabella excel stampata poco prima. Un saluto ossequioso e di nuovo a casa.
Solo dopo qualche giorno il telefono di Manuel squillò di nuovo, era la produzione del Film, cercavano “un coatto” e l’avevano trovato, avevano scelto lui. Era stato proprio Caligari a volerlo. E così, dopo un altro provino, l’ufficialità. Il contratto.
“Roma c’ha tre re: Totti, Amendola e Mastandrea. E io co’ Valerio c’avrei lavorato pure aggratis.” È iniziata così l’avventura di Manuel Rulli, un ragazzo che dalla strada ha avuto l’opportunità di condividere il set con l’attore che per lui era un po’ come “er capitano” fino a portarlo a solcare per primo, lanciato in avanscoperta dal resto della troupe, il tappeto rosso del Festival di Venezia. Io me lo immagino lì, imbarazzato e euforico che già si pensava al baretto un paio di giorni dopo con gli amici di sempre a chiamarlo Attore.
È stato un sogno, un’esperienza più indelebile dei tatuaggi che indossa.
A sentirlo parlare però sembra che Manuel sia stato il protagonista di quel film. Ricorda ogni secondo di set e nutre un affetto per il Maestro tale che gli occhi gli si inumidiscono ogni volta che ci pensa. Un amore vero, un affetto smisurato, quasi ingiustificato per un’esperienza – temporalmente – breve.
Perché Manuel sul set di Non essere cattivo, ha fatto nove pose, non di più. In totale un mese di lavoro. Certo, Caligari e Emanuel lo passavano a prendere sotto casa, Mastandrea gli tirava le orecchie, è stato a Venezia e ha indossato lo smoking per i David. Esperienze forti ma troppo brevi per un amore così. E oggi è come se avesse una specie di radar: su qualsiasi immagine, post o articolo rivolto a Caligari c’è il suo commento. Onesto e affranto per l’assenza di un uomo che tutti vorremmo ancora con noi.
Durante la chiacchierata che abbiamo fatto, e raggiunto un buon livello di confidenza, non ho usato mezzi termini, dovevo necessariamente chiederglielo. “Perché? Perché vuoi così bene a una persona che oggettivamente non hai avuto il tempo di conoscere?”.
È stato un vaso scoperchiato, un fiume in piena. Lui ha iniziato a rispondere e io a unire i puntini. Mi ha parlato di Ostia e della sua doppia faccia. Di sua mamma, che deve mantenere, e di suo papà che, forse solo per caso, l’ha chiamato col addebito. Del suo desiderio di essere come tutti lì. Delle dinamiche del branco e di quanto in realtà il contesto ti porti a essere cattivo.
La forma di Caligari iniziava a mostrarsi perché Claudio – così che lo chiama Manuel – con la sua figura, la sua visione, la sua idea di cinema, per lui è stato molto più che un maestro di set.
Quando si fa critica cinematografica si cerca il valore di un film che vada oltre le singole immagini, la regia e la sceneggiatura. E Non essere cattivo è un condensato infinito di punti di osservazione. Droga, periferia, una semi-candidatura agli Oscar, Martin Scorsese e un altro regista italiano che con tre film ha segnato la storia; e la sua dipartita poco prima di vedere la versione definitiva della sua ultima opera.
Non essere cattivo è tutto questo e forse anche di più, un film con l’ambizione di scuotere le coscienze che, con il senno di poi, è riuscito nel suo intento con chiunque l’abbia visto. Ha lasciato però un qualcosa di ancora più profondo in una “comparsa”, una sola, un ragazzo che ha vissuto nove giorni di set e che ha respirato odori nuovi dal mare che vedeva da quando era nato.
Perché il cinema è finzione per chi vede e immedesimazione completa per chi fa. Un film, è vero, può cambiarti la vita: consacrarti all’olimpo Hollywoodiano o, soprattutto se insceni quello che potrebbe essere il tuo futuro, aiutarti a scegliere di Non essere cattivo.
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