L’altra Scampia
si chiama Chikù

Contro l'immaginario di Gomorra
e del disfacimento morale

Due ragazze tra i 13 e i 15 anni trasportano buste della spesa straripanti di pacchi di pasta, spezie e confezioni di pecorino romano, passano vicino la grande matrioska al ritmo delle canzoni reggaeton distorte da un volume eccessivo per i loro cellulari. Si muovono con la disinvoltura dei camerieri navigati tra i tavoli e fanno velocemente la spola tra la dispensa e l’auto parcheggiata poco distante. Dalla cucina si percepiscono frasi in lingua romanes. Loro sono rom e probabilmente vengono dal campo che è a qualche centinaio di metri da lì.  

Barbara non è ancora arrivata, io entro per chiedere informazioni e ancor prima che possa aprire bocca vengo accolto da una ventata di profumi balcanici e da una signora in grembiule da cucina girata di spalle che mi dice dice “state tranquillo, adesso arriva. Intanto lo prendete un caffè?” 

Il culto del caffè a Napoli lo conosciamo tutti, così come Scampia di cui però forse abbiamo solo una presunzione di conoscenza donataci dal cinema e dalla tv. Sappiamo che è il cuore di Gomorra, il quartiere del “famm’ capì si me pozz’ fida’ ‘e te!”, il luogo delle faide e il centro dello spaccio.

Questo articolo è stato pubblicato su www.informazionesenzafiltro.it

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