La prima volta di A

Il libro della vita

A. non avrà avuto più di 6-7 anni mentre era fermo al semaforo pedonale in quel sabato pomeriggio dall’asfalto troppo caldo per farsi tenere la mano. Emozionato da tutte quelle lucine sull’altra sponda della strada, nonostante si ritenesse già un uomo adulto, decise di stare al gioco e lasciarsi dire per l’ennesima volta “guarda sempre prima di attraversare”. Lo fece per alimentare la speranza che la meta del loro viaggio fosse la sala giochi e non il cinema lì affianco. Ma non fu così. Entrarono nel foyer, mano nella mano, accompagnati dell’entusiasmo tipico degli adulti che propongono “una prima volta” ad un bambino e la diffidenza di chi invece preferirebbe restare sul territorio conosciuto di un flipper colorato.

A. non era così convinto che si sarebbe divertito ma l’entusiasmo della nonna che aprendo la sua borsetta avana dalle cuciture in pelle, estraeva il portamonete per pagare i biglietti al signore con i baffi, lo paralizzava. Non poteva permettersi di deludere le sue aspettative e cercando un appiglio che gli consentisse di non fingere, trovò quel po’ di sala giochi che c’è in ogni multi-sala. Le macchine dei pop-corn, le tonnellate di caramelle colorate e tutti quei dolciumi normalmente proibiti in casa sua gli strapparono il primo sorriso autentico del pomeriggio. E anche se trattato da bambino, e non c’era cosa che lo infastidisse di più, vide in quei banconi uno spiraglio di vera e profonda trasgressione, una possibilità per raccontare ai suoi compagni un sabato degno di un giovane adulto di sei anni e mezzo.

Presi i biglietti, entrarono in sala. Le luci erano ancora accese e con mille raccomandazioni, scesero i gradini che li portavano ai posti 13 e 14 della fila G. Erano centrali ed essendo lo spettacolo delle 15 la sala non era straripante. A. poté sbracarsi come gli piaceva fare, mise i pop corn sulla poltrona alla sua destra, allargò i gomiti sui braccioli e posò la punta dei piedi sul sedile davanti. Sapeva che sarebbe stato ripreso ma trasgredire era la sua missione e poi gli piaceva la delicatezza della nonna anche quando si arrabbiava con lui. Non urlava mai e non lo fece neppure quella volta, lo accarezzò su una spalla e iniziò a motivare il perché alcune cose non andavano fatte. A. aveva il cervello spento, rimise bene le gambe e mentre la nonna gli diceva cose che lui già sapeva e aveva sentito mille volte, si godeva il suono di quelle parole dolci.

La stessa cosa successe per i pop-corn, mangiati a bocca aperta e lasciati sbriciolare per terra senza troppa preoccupazione, ma A. capiva fin dove poteva arrivare e il suo gioco di piccole trasgressioni si fermava prima del limite.

E mentre la nonna, delicata e più emozionata di lui, continuava a mostrare il suo entusiasmo e a caricare il nipote per questa “prima volta” le luci si spensero e con il rumore della pellicola che scorreva, iniziò il film.

Immagini enormi e suoni avvolgenti. Talmente tanto che i pop corn rimasero fermi su quella sedia senza che nessuno li toccasse per tutta la durata del primo tempo.
A. era in estasi, l’entusiasmo della nonna: giustificato. E quei fotogrammi che così grandi scorrevano veloci, illuminavano una platea di tanti piccoli A. anche se probabilmente più abituati di lui a sedersi su quelle poltroncine.

La nonna non vide il film. Innamorata come ogni nonna, preferì specchiarsi per tutto il tempo negli occhi sbarrati del piccolo. Avrebbe voluto chiedergli se il film gli stesse piacendo, più per gratificare se stessa che per altro, ma non lo fece. Gli bastava cambiare punto di vista, ruotare la testa di novanta gradi rispetto lo schermo e guardare la luce riflessa dal telo bianco sul volto del nipotino.

Il film per A. non fu ne veloce ne lento, neppure giusto. Aveva perso il senso del tempo, immerso in due mondi complementari che non conosceva: quello sullo schermo e quello della sala. Dove entrambi trovavano nell’altro la giustificazione della propria esistenza.

A. restò seduto quando comparse la scritta “fine”, lanciò un rapido sguardo d’intesa alla nonna che, raccolti prudentemente i pop corn, era pronta ad alzarsi, ma tornò a guardare lo schermo. C’erano i titoli di coda e non voleva perdersi neppure un attimo di quel pomeriggio in cui non aveva creduto. Quei nomi che scorrevano erano il ponte tra il mondo immaginario e quello in cui A. era abituato a vivere e anche se lui probabilmente non lo sapeva li guardò fino alla fine, battendo, completamente fuori tempo, il piede destro mentre il main theme accompagnava le ultime schermate. Era rimasto l’unico seduto, la macchina da presa si spense e lui si alzò.

La nonna a quel punto cedette e gli domandò “allora… ti è piaciuto?”. A. fece solo di si con la testa ma nello sguardo gli si leggeva l’entusiasmo e la sorpresa di chi sta metabolizzando ciò che di straordinario gli è appena accaduto. Seguendo la fila uscirono dalla sala, il cinema si stava riempiendo di ragazzi per la proiezione successiva e dalla porta a vetri si vedeva il sole ancora alto.

A. era grato a sua nonna e seppure non entusiasta, prima di varcare la porta, le porse la mano: un modo implicito per mostrare gratitudine. Dopo pochi passi si sforzò è lo disse chiaramente: “è stato bello… davvero”. La nonna sorrise come solo le mamme sanno fare. “Ora però – disse A. stringendo ancora un po’ la presa della mano – possiamo fare un salto in sala giochi?”

Oggi, dopo più di vent’anni, A. ha deciso di aprire “Credits”: per ringraziare sua nonna; per omaggiare i titoli di coda, ponte magico tra due mondi magici; per sottolineare che l’amore per il cinema è qualcosa che va regalato ai più piccoli; per ricordare che alla fine, ciò che conta, anche da adulti, è fare un salto in sala giochi.

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